lunedì 18 agosto 2014

Tra ostriche e tartufi a Roma

Natura morta con ostriche - Edouard Manet
Uno dei miei primi post dedicati alla nostra permanenza in Francia ("A chi non piacciono le ostriche?" - marzo 2012) riguardava le OSTRICHE e i luoghi di allevamento francesi, visitati da noi per assaporarne i diversi tipi.

Ritornati a casa a Roma, abbiamo cercato di non perdere l'abitudine di toglierci ogni tanto lo sfizio di degustarle, in ricordo delle ormai passate "scorpacciate" (dico "ogni tanto" perché il costo delle ostriche in Italia è certamente ad un livello più alto rispetto alla Francia!). 

Siamo a Roma: storicamente gli imperatori Romani sono stati i primi grandi appassionati di ostriche.
Un banchetto senza questi frutti di mare per i nostri avi non si poteva denominare tale. 
Si narra che gli Imperatori Romani fossero disposti a pagarle in oro.

Per questa ragione nel 115 a.C. la "Lex Aemilia", vietò di servirle a tavola nei banchetti.

Ma come tutte le leggi suntuarie, cioè che miravano a limitare il lusso, anche questa fu priva di effetto: sette anni più tardi si creò il primo vivaio di ostriche su larga scala.

Nerone fu il più famoso consumatore di ostriche: Giovenale nella sua IV Satira dice che all'imperatore ne bastava un assaggio per capire immediatamente la provenienza dell'ostrica (se provenisse dal Circeo, dal Lucrinio o da Rutupe).
"Circe nata forint, out Lucrino ad sauri, Rutupinoae editae fundo Ostrea, callebat primo deprendere morsa".

Fu invece C.Sergio Orata (...nel suo nome un destino!), che trasformò il lago Lucrino (oggi scomparso), tra Pozzuoli e Capo Miseno, in un allevamento di ostriche che, pescate al Circeo o nel mare davanti a Taranto, venivano lasciate "addolcire" in queste acque lacustri.

Molto poeticamente Plinio il Vecchio scriveva:
"Le Ostriche,
nel tempo degli amori,
si aprono quasi sbadigliassero,
si riempiono di rugiada che le feconda,
e partoriscono perle…
Io consiglio di consumarle coperte di neve,
così da mescolare la sommità dei monti
e la profondità del mare…"

Forse è un'esagerazione, ma si dice che il grande amatore Casanova mangiasse 50 ostriche ogni mattina a colazione!

Non vi è nulla di scientificamente provato nell'affermare che le ostriche siano afrodisiache, ma certamente nell'assaporarle bisogna metterci una certa sensualità: 
- dopo averle risucchiate dalla conchiglia, si portano al centro della lingua: qui la differenza di temperatura tra la bocca e l'ostrica aiuterà a far sciogliere la parte cristallina.
- bisogna lasciar scendere sulle papille della lingua questo succo, per poterne apprezzare l'acidità e la sapidità.
- si sposta poi l'ostrica tra i molari, e poi si richiudono questi sui molluschi in modo delicato, per gustarne le carni sode e il loro retrogusto.

...un morso di pane con burro leggermente salato, un sorso di vino bianco e il gioco ricomincia...
Peccato che il gioco duri sempre troppo poco!

Ragazza che mangia ostriche - Jan Steen

L'ostrica deve essere viva al momento della degustazione.
Questi molluschi si possono conservare per circa 12 giorni, se mantenuti tra i 5° e 15°.

Per poter dare il tempo all'ostrica di "rifare la sua acqua", bisogna aprirle almeno mezz'ora prima di degustarle (ma attenzione, non più di due ore prima).
Bisognerebbe mangiare ostriche durante i mesi che contengono nel loro nome la "R" (compreso gennaio perchè in francese si dice "Janvier"), in quanto in estate questo mollusco produce una specie di "latte" che ne fuorvia il sapore.

Le varietà delle ostriche si differenziano per la loro forma (che può essere concava, piatta o allungata), per sapore (che può essere più o meno delicato, salmastro o dolciastro, più o meno iodato, o che si avvicina al sapore dell'alga), per provenienza geografica, o di coltivazione (a seconda che vengano allevate in mare o alle foci dei fiumi).

...le Belon, le Gillardeau, le fine de Claire, le Speciale d’Isigny o le Saint Vast La Hougue, le Marennes-Oleron, le Cancale, o le costose perché più rare selvagge "pied de cheval"...


Come a Parigi anche a Roma si possono degustare le ostriche nei così chiamati Bar à Huitres o Oyster Bar.

Abbiamo visitato recentemente uno di questi locali:
                       
         LIKE QUINZI & GABRIELLI   OYSTER BAR
         www.likeroma.it 
         via delle Coppelle,4
         06 6879389
                            
che ha aperto da pochi mesi i suoi battenti (vicino a Piazza Navona e al Pantheon), ma che in realtà ha alle sue spalle l'esperienza di uno dei più noti ristoranti di pesce di Roma, che si trova proprio accanto.

interno di Like Quinzi & Gabrielli

E' un locale per degustare ostriche come aperitivo, prima o dopo il cinema o il teatro, o solo per togliersi la voglia di questi molluschi!

E' un piccolo locale arredato in stile moderno, con pochi tavoli rotondi alti, comodi sgabelli alti in pelle, tutto nei colori bianco, crema, nero e giallo.
In teche lungo i muri vi sono bottiglie pregiate di vini e champagne, e di oggetti inerenti la degustazione delle ostriche. 

Si possono gustare freschissime ostriche (Gillardeau, Belon du Belon, Fine de Claire, Fine de Binic), ma anche crudi di pesce e panini gourmet.
Il tutto accompagnato da fluite di vini con bollicine e non.

Tartare di filetto...di tonno
Battuto di mazzancolle al lime con sale alla vaniglia

(Preso dalla voglia di ostriche, mio marito ha dimenticato di immortalarle!)

Il servizio è attento, gentile e professionale.
Il prezzo abbastanza contenuto.

L'unico punto negativo trovo sia mettere all'ingresso del locale cartelli con prezzi dell'offerta gastronomica...se le ostriche piacciono se ne conosce il prezzo e si è disposti a spendere, e questi cartelli invece sviliscono l'ambiente, togliendo l'allure di stare per concedersi un piccolo lusso. 

ingresso di Like Quinzi & Gabrielli
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Un Bar à Huitres vicino a Fontana di Trevi è:

ristorante Baccano

                                  BACCANO
                                  www.baccanoroma.com 
                                  via delle Muratte, 23
                                  06 69941666

una delle offerte che si possono trovare all'interno di un locale polifunzionale, dall'aria "bistrot mediterraneo". 

esterno del ristorante Baccano
L'area di ubicazione è un po' troppo turistica e troppo "scadevolmente" commerciale, ma il locale è una buona location dove poter assaporare ostriche.

dehors del ristorante Baccano
Premetto che non abbiamo trovato quel fascino retrò dei bistrot parigini, nonostante l'arredamento con legni scuri, ventilatori a pale al soffitto, piatti del menù scritti sugli specchi, ampie vetrate, un lungo bancone e panche di pelle rossa.

interno del ristorante Baccano
interno del ristorante Baccano
Devo dire che non amo i locali che cambiano offerta a seconda delle ore della giornata, passando da caffè dove consumare la colazione alla mattina, un pranzo veloce durante la pausa del mezzodì, divenire una sala da thè o gelateria nel pomeriggio, un ristorante la sera e un ritrovo nelle ore notturne.

Non posso però non elogiare la freschezza che abbiamo potuto apprezzare per le ostriche Gillardeau calibro n°2 dal sapore elegantemente equilibrato, tra il marino e lo zuccherino, e la consistenza soda e nello stesso tempo morbida alla degustazione.

ostriche Gillardeau del ristorante Baccano
Abbiamo dovuto chiedere il burro da accompagnare al pane (forse una svista o una scelta di semplicità dello chef), ma il servizio è attento e preciso, come la gentilezza e il sorriso del personale.

Abbiamo anche assaggiato l'offerta dei carpacci di crudo (forse un piatto lasciato un po' troppo al naturale), le ottime mozzarelle di bufala di Paestum accompagnate da acciughe cantabriche, e un'insalata di polpo tenera ed equilibrata.

tris di carpaccio: salmone, ombrina e tonno
insalata di polpo con patate allo zafferano e sedano croccante
mozzarella di bufana di Paestum con acciughe del Cantabrico
Un altro punto positivo del locale è la lista di vini, molto ampia e studiata, e con pochissimo ricarico.

cucina a vista del ristorante Baccano
Insomma, un locale dove tornare, per la sua scelta di ostriche e per il servizio che, nonostante il via vai di clienti, il numero di tavoli che nella stagione buona raddoppia con il suo dehors, il pubblico eterogeneo ed internazionale da dover seguire (ovvero quella confusione dei crocevia che i latini chiamavano "baccanum", e dal cui termine deriva il nome del locale), non risente della stanchezza di una lunga e variata giornata.
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Altro genere di consumo gastronomico considerato di lusso (e lo è davvero!) è il TARTUFO.

Il tartufo appartiene al regno dei funghi: divisione ascomycota, della famiglia delle Tuberaceae.
E' il corpo fruttifero (ascoma) dei funghi ipogei (sotterranei).

"Scrivere la storia del tartufo significherebbe voler scrivere la storia della civiltà umana"
                                         (Alexandre Dumas)

Si pensa che Sumeri e Babilonesi conoscessero e consumassero i tartufi, e che fosse presente sulle tavole del faraone Cheope, come anche nell'alimentazione degli antichi Egizi, che lo cucinavano ricoperto di grasso d'oca e poi lo cuocevano al cartoccio (come riportato nella Bibbia, quando si narra la vita di Giacobbe).
Ma la prima testimonianza scritta di questo "cibo degli dei" la riporta Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (79 d.C.), dove viene dedicato un intero capitolo al Tuber Terrae, 
"un miracolo della terra, cresce sulle radici e non si può seminare".
Quasi sicuramente i Romani impararono a consumare questo alimento dagli Etruschi.

Il medico greco Galeno di Pergamo sosteneva che il tartufo avesse qualità nutrienti e voluttuose.
Il filosofo greco Plutarco di Cheronea attribuiva la crescita di questo fungo alla combinazione di acqua, calore e fulmini.

Il poeta latino Giovenale, il quale sosteneva che fosse meglio rimanere senza grano piuttosto che senza tartufi, scrisse che questo cibo voluttuoso nacque per opera di Giove che scagliò un fulmine vicino ad una quercia (albero sacro agli dei)...e così come Casanova mangiando ostriche a colazione migliorava le sue prestazioni virili con le damigelle, così faceva Giove mangiando tartufi.
Il tartufo veniva considerato quindi un alimento afrodisiaco. 

Passando dalla leggenda alla realtà, è certo che per completare il suo ciclo vitale e riproduttivo (gli animali lo mangiano e seminano le spore con i loro escrementi nel terreno), ed anche a nostro vantaggio per poter essere trovato da cani e maiali, il tartufo ha sviluppato l'espediente di essere molto"profumato".
E questo "profumo" è il carattere che lo distingue e lo fa diventare il fattore della sua ricercatezza.

Il suo consumo andò perdendosi nel medioevo, mentre poi si ritrovò sulle tavole di prelati e nobili nel Rinascimento.
Consumavano tartufo le corti di Caterina de' Medici e di Lucrezia Borgia.
Casale Monferrato riforniva le tavole dei Gonzaga a Mantova, Tortona invece quelle dei Visconti e Sforza di Milano.  

Giocacchino Rossini, compositore che oltre di musica era grande conoscitore ed estimatore della buona cucina (molti piatti furono dedicati a lui: il Filetto alla Rossini, per esempio, piatto di carne con foie gras e tartufo dello chef francese Moisson del ristorante Café Anglais di Parigi), definiva il tartufo
"il Mozart dei funghi"
e affermò:
"Ho pianto soltanto tre volte nella mia vita: quando la mia prima opera è stata un insuccesso, quando ho sentito Paganini suonare e quando, durante un banchetto sul lago, il tacchino farcito con tartufi bianchi è caduto dalla barca in acqua".
Il tartufo non cresce ovunque: la sua crescita è legata a fattori ambientali e stagionali.
Ha bisogno di un terreno molle e ricco di sali minerali, e il clima deve essere caldo e umido.
Il gusto dipende anche dall'albero sotto il quale cresce: i più apprezzati sono quelli cresciuti sotto le querce di rovere, ma si trovano anche sotto i pioppi, i tigli, i noccioli, ecc...
 

L'Italia è tra i maggiori produttori di tartufi al mondo.
Ma anche la Francia (Lot e Perigord) è conosciuta per i suoi tartufi: il più grande mercato francese è a Richerenches a Vancluse.

Esistono moltissime varietà di tartufo, ma il più pregiato e il più profumato è il Tartufo Bianco (Tuber Magnatum Pico).
Il suo colore esterno va dal crema al giallo ocra, la polpa è di color rossastro con striature simili al marmo.
Il suo costo si aggira tra i 3000/4000 €/Kg.
Viene prodotto ad Alba, nelle Langhe e nel Monferrato (Piemonte), a San Miniato (Toscana) e a Frosolone (Molise).
Raccolta: settembre/dicembre.
Utilizzo: fresco con parsimonia, dato il suo aroma intenso e il costo (!), su uova fritte, carne battuta al coltello o su fondute di formaggio, oppure si conserva sott'olio.

Il Tartufo Nero Pregiato (Tuber Melanosporum Vitt.) viene prodotto a Norcia e a Spoleto, ma anche in Toscana, Lazio, Lombardia, Piemonte e veneto.
E non bisogna dimenticare il francese Truffle du Perigord.
Raccolta: dicembre/marzo.
Utilizzo: crudo o cotto su pasta fresca e arrosti.

Il Tartufo Nero Estivo (Tuber Aestivum Vitt.), volgarmente chiamato "scorzone", si produce in Umbria, Trentino Alto Adige, Piemonte e Basilicata.
Raccolta: maggio/autunno.
Utilizzo: a scaglie sulla pasta, sulle frittate e i piatti di carne.
Si conserva a lungo.

Il Tartufo Bianchetto (Tuber Albidum Pico) è un tartufo bianco meno pregiato, deperibile.
Si raccoglie in Toscana, Marche e Romagna.
Raccolta: gennaio/marzo.
Utilizzo: carpacci di carne e pesce, sott'olio.

Il Tartufo Neto Liscio (Tuber Macrosorum Vitt.) si produce ovunque in Italia.
Raccolta: settembre/dicembre.
Utilizzo: su ogni pietanza.
Tende a disidratarsi.

Il tartufo comunque lo si abbini, nei risotti o con la pasta, con le uova o nelle fondute di formaggio, con le carni arrosto o crude battute al coltello, o con le verdure al gratin, è sempre appezzabile per il suo profumo e gusto inconfondibile, che come le ostriche a non tutti però piace.

I vini giusti da abbinare ai tartufi...
...bianchi o rossi, francesi o italiani?

A grandi cibi, grandi vini!
... un Montepulciano d'Abruzzo, un Sagrantino di Montefalco, un Brunello di Montalcino, un Dolcetto delle Langhe, un Barolo, un Saint-Emilion, un Bordeaux...
...un Riesling, un Muller Thurgau, un Soave o un Verdicchio di Jesi...  


Non è da molto che anche a Roma ci si può concedere il lusso di degustare questo prodotto, e il locale da noi visitato si trova in pieno centro storico:
                      
                          TARTUFI & FRIENDS
                          www.tartufiandfriends.it 
                          via Borgognona 4C
                          06 6794980 



E' un locale composto da due piccole sale: la sala bianca ingresso/boutique, dove poter anche comprare tartufi e derivati, oltre ad uno spuntino gourmet take away a base naturalmente di questi prodotti; la sala nera, un piccolo (un po' angusto direi) locale dove avviene la degustazione dei piatti al tartufo.

Sala bianca di Tartufi & Friends
sala nera di Tartufi & Friends
In questa saletta per la degustazione, panche in tessuto scozzese poste lungo tutto il perimetro costituiscono le sedute, mentre piccoli tavolini servono d'appoggio ai vassoi argentati con manici in cuoio con i quali vengono direttamente serviti i piatti.
Tutto molto chic, ma non adatto ai maldestri, che potrebbero incorrere facilmente in ... incidenti e apparire come un elefante in una cristalleria!

sala nera di Tartufi & Friends
I piatti variano da bruschette con abbinamenti d'ingredienti vari e tartufo, a piatti più elaborati con tartufo gratuggiato o a scaglie.

l "Classico" tagliolino con tartufo nero
risotto con tartufo nero
L'esclusivo Hamburger "Tartufi & Friends" di carne chianina, scaloppa di fegato d'oca e tartufo, con marmellata di cipolla di Tropea e maionese al tartufo
Filetto "Rossini" con carne chianina, scaloppa di fegato d'oca e tartufo nero

Anche qualche dessert richiama questo prodotto, come anche qualche distillato e amaro.

Un ambiente ricercato che si adatta ad un prodotto d'elite.
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Ma a Roma c'è anche un altro modo di degustare i tartufi: in gelateria!


Chi abita nella capitale non può non aver assaggiato almeno una volta passando per Piazza Navona il rinomato "tartufo" al caffè/ristorante/gelateria

                            TRE SCALINI
                            www.trescalini.it
                            Piazza Navona 28

Il tartufo dei Tre Scalini è un dessert gelato a base di cioccolato preparato seguendo una ricetta del 1946.
Vengono impiegati per la preparazione 13 tipi diversi di cacao.
Una sfera di crema al cioccolato ricoperta da scaglie di croccante cioccolato, e per chi vuole, accompagnata da panna montata. 

il tartufo dei Tre Scalini
Il locale, che affaccia direttamente sulla piazza e sulla Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, occupa quella che nell'ottocento era un'antica locanda.

interno del bar Tre Scalini
Insomma un "dulcis in fundo" che non si distacca dai prezzi delle ostriche e dei tartufi: un tartufo gelato servito al tavolo costa 10€...anche se si è seduti davanti ad un'opera d'arte (intendo la fontana del Bernini!), penso sia una vera esagerazione, per un prodotto che in fin dei conti non è poi così eccezionale!

vetrina con "tartufi"
Ormai assomiglia più ad un gelato ghiacciato che ad una preparazione artigianale, e il servizio al tavolo è alquanto spartano (non un tovagliolino o un bicchiere d'acqua)...non è più quel ritrovo delle famiglie romane che la domenica andavano a degustare una vera specialità artigianale ... ora si sentono parlare solo idiomi stranieri, e ci si sente "stranieri" a Roma! 


CONCLUSIONI
Anche a Roma si può trovare il locale giusto per soddisfare le proprie voglie se ci si vuol concedere uno sfizio gastronomico che abbia come protagonisti le ostriche o i tartufi, due cibi afrodisiaci che hanno sempre avuto un posto importante nella "cuisine d'amour", e che hanno catturato per questo l'attenzione di scienziati e gourmet.
Naturalmente di ristoranti che offrono piatti a base di tartufo o altri i cui menù si compongono anche di piatti di ostriche ce ne sono molti...questi sono solo un piccolo assaggio, quelli da noi visitati.
 
 

venerdì 8 agosto 2014

Roma: la Valle della Caffarella, tra storia e leggende


Parte integrante del Parco dell'Appia Antica, la Valle della Caffarella è una zona di Roma che si estende tra le Mura Aureliane, la Via dell'Almone, la Via Appia Antica e la Via Latina.


La valle ha sempre avuto nei secoli un carattere agreste, anche se vennero costruiti al suo interno ville, casali, torri di avvistamento, mulini, templi e sepolcri.

I suoi 200 ettari di terra alluvionale sono solcati dal fiume Almone, un affluente del Tevere.

fiume Almone
fiume Almone
Nell'antichità i romani identificavano questo fiume con il dio Almone, che elargiva acqua o siccità.
Almone fu il primo eroe italico.

Nell'Eneide viene raccontato che cadde nella guerra tra i Troiani di Enea e le popolazioni autoctone del Lazio.
Era il figlio maggiore di Tirro, pastore delle stalle reali di re Latino.
Almone aveva addomesticato un cervo che Ascanio figlio di Enea uccise durante una caccia.
Nacque per questo una rissa tra i pastori italici e i Troiani che uccisero Almone, lanciandogli una freccia.
Anche se il re Latino non voleva scendere in campo, Giunone, ostile ai Troiani, aprì le porte del tempio di Giano dando inizio alla guerra tra i Troiani di Enea e gli Italici condotti da Turno (le porte del tempio di Giano venivano aperte soltanto in tempo di guerra).

Almone viene così divinizzato e il fiume è la metamorfosi del corpo dell'eroe.


Dove il fiume si congiungeva al Tevere (oggi la zona dell'ex Gazometro), si svolgevano ogni anno il 27 marzo i riti di un culto orientale che prevedeva una processione fino a qui del simulacro della dea Cibele, dal Palatino dove aveva il suo tempio, e il lavaggio dell'immagine della dea nelle acque del fiume.

Boschetto sacro
La Valle della Caffarella era un luogo un po' magico ed oltre ad avere come già detto un fiume sacro (oggi purtroppo ridotto ad una discarica!), aveva anche un boschetto sacro, un poggio di fronte alla chiesa di S.Urbano, ricoperto di lecci: oggi rimangono solo tre di questi alberi, in quanto i tedeschi nella seconda guerra mondiale avevano qui posizionato una batteria antiaerea.

Boschetto sacro
Si diceva erroneamente nel Rinascimento che qui re Numa Pompilio incontrasse la Ninfa Egeria e mentre si dilettavano in giochi amorosi, lei gli dettasse le leggi sacre di Roma.
In realtà il bosco frequentato dal re era quello vicino alle Terme di Caracalla, il bosco delle Camene.

Ninfeo di Egeria
Qui nella Valle comunque sorge il Ninfeo di Egeria, una grotta artificiale scavata nella roccia, dedicata alla Ninfa, vicina ad una sorgente di acqua minerale acidula.
La grotta è preceduta da un portico che si specchia in un bacino d'acqua che a sua volta va a formare un laghetto insieme alle acque dell'Almone.
Per le sue qualità terapeutiche questo laghetto era chiamato "Lacus Salutaris".

Ninfeo di Egeria con statua del dio Almone
Il ninfeo del II secolo d.C.. era di forma rettangolare e aveva tre nicchie nelle quali trovavano posto delle statue di divinità fluviali, dalle quali scaturiva l'acqua la cui sorgente si trovava sotto la via Appia Pignatelli.
Oggi è collocata una statua maschile semisdraiata che probabilmente raffigura il dio Almone.

Rivestivano il ninfeo lastre di marmo verde e bianco e mosaici in pasta vitrea policromi.
L'ambiente era coperto da una volta a botte, con rivestimento in pietra pomice che cercava di far sembrare l'intero ambiente una grotta.


Si dice anche che alle idi di luglio i cavalieri romani svolgessero cavalcate nella Valle della Caffarella per onorare Marte Gradivo, in ricordo della battaglia del lago Regillo avvenuta nel 493 a.C.

Nel periodo tra il II secolo a.C. e gli inizi dell'età imperiale la Valle registrò il massimo sviluppo insediativo: grandi ville e sepolcri (a tempietto, colombari e tombe a camera).

Due sono i personaggi che caratterizzarono in età imperiale (II secolo d.C.) le vicende di questa valle: Erode Attico e la moglie Annia Regilla.
Chi furono questi personaggi?...

Appia Annia Regilla Atilia Caucidia Tertulla apparteneva alla famiglia aristocrazia romana degli Annii, la stessa famiglia a cui appartenne Marco Attilio Regolo (III secolo a.C.) al tempo della prima guerra punica.
Suo padre fu console nel 139 d.C.
Annia Regilla era imparentata con la famiglia imperiale, con Annia Galeria Faustina, moglie dell'imperatore Antonino Pio.

Solo quattordicenne, andò in sposa al quarantenne Erode Attico, di origine greca, il cui padre Tiberio Claudio era divenuto ricchissimo per aver trovato scavando in un campo di sua proprietà un grandissimo tesoro (o forse come si diceva, solo facendo l'usuraio).

Erode Attico
Erode Attico, dal carattere collerico e violento, famoso per la sua liberalità, era un uomo politico e insegnava retorica: ebbe tra i suoi allievi due futuri imperatori coregenti:  Marco Aurelio (adottato dal suocero e zio acquisito Antonino Pio) e Lucio Vero (adottato anch'esso dall'imperatore Antonino Pio e genero di Marco Aurelio).

Antonino Pio
Lucio Vero
Marco Aurelio
























Dopo un breve periodo passato a Roma i coniugi si trasferirono a Maratona in Grecia, città natale di Erode Attico.
In quella terra lontana da Roma Annia Regilla divenne sacerdotessa nel santuario di Olimpia della dea Demetra, l'equivalente greca della Cerere romana, dea delle messi, del matrimonio e delle mogli vittime della violenza domestica (quasi un presagio, come vedremo oltre!), e divenne anche la prima sacerdotessa ad Atene della dea Tyche (dea della fortuna).
In quanto sacerdotessa fu l'unica donna a poter assistere ai giochi olimpici nello stadio, dall'altare del santuario.

Le Tre Tyche - bassorilievo della villa di Erode Attico e Annia Regilla sulla Via Appia


Dopo aver partorito cinque figli (due femmine e tre maschi), quando era incinta di otto mesi del sesto figlio, fu uccisa dal liberto Alcimedonte, che la picchiò a morte colpendola al ventre e facendole perdere anche il bambino.
Fu accusato il marito dal fratello di Annia Regilla di essere il mandante dell'esecuzione; ma forse per l'amicizia con l'imperatore Marco Aurelio, sia marito che liberto furono scagionati.

Anzi, Erode Attico inscenò un grande dispiacere per la perdita della moglie, e commissionò un panegirico al poeta greco Marcello di Side, che venne scritto su due cippi di marmo pentelico trovati davanti alla chiesa di S.Sebastiano sull'Appia Antica e che oggi si trovano al Museo del Louvre a Parigi (una copia di una colonna si trova a Villa Borghese).
In un'altra iscrizione di una colonna posta all'ingresso del Triopio (oggi a Musei Capitolini), chiama la moglie
 "...luce della casa, alla quale appartennero questi beni" .
lastra con iscrizione in caratteri greci "...luce della casa..."

Dedicò alla moglie un Odeion ad Atene e alcuni monumenti a Roma.

Annia Regilla infatti quando si sposò portò in dote al marito una grande villa al III miglio della Via Appia, che venne poi ereditata alla sua morte dal figlio minore Bradua, ma di cui Erode Attico riuscì ad impadronirsi.

Erode Attico trasformò la villa repubblicana degli Annii e diede alla zona il nome di Triopio: Triopas era il re di Tessaglia che dedicò a Demetria un santuario a Cnido in Asia Minore.

Il Triopio si estendeva sino al Mausoleo di Cecilia Metella, comprendendo quella zona sulla quale nel IV secolo, una volta che divenne proprietà imperiale, Massenzio costruì il suo Palazzo.

Annia Regilla morta nel 160 d.C. fu sepolta in Grecia (non si sa dove), con sontuosi funerali.
Nel Triopio invece Erode Attico fece costruire in ricordo della moglie un Cenotafio e un Tempio dedicato a Cerere (equivalente romana di Demetria) e Faustina (moglie divinizzata dell'imperatore Antonino Pio e parente, come ho detto, della defunta moglie).

Tempio del dio Redicolo/Tomba di Annia Regilla
La Tomba di Annia Regilla o Tempio del Dio Redicolo, come venne nell'ottocento erroneamente chiamato, è un tempietto (naiskos) a due piani posto su di un podio, risalente al II secolo, in laterizio e decorato in cotto.
Le pareti sono di color giallo, mentre gli elementi decorativi sono rossi. 

Ha una copertura a doppio spiovente con volta a crociera.
Nel piano inferiore vi era la cella funeraria, mentre al piano superiore vi era una stanza per i riti dei defunti.
Il pavimento tra i due piani è crollato.

Tempio del dio Redicolo/Tomba di Annia Regilla
Sulla facciata meridionale, che si affacciava sulla via che collegava la via Appia alla via Latina, vi erano più decorazioni: due lesene angolari, due semicolonne ottagonali con capitelli corinzi, una finestra con architrave, una fascia a meandro orizzontale ed un'elaborata trabeazione.

Un portico con quattro colonne delimitava nella facciata est, rivolta verso il fiume Almone, la scalinata d'accesso al piano superiore.

La facciata principale accoglieva l'entrata al di sopra della quale vi è una nicchia semicircolare con timpano, affiancata da due finestre.

Non è una tomba ma un cenotafio, in quanto come si è detto il sepolcro di Annia Regilla dovrebbe essere in Grecia.
Si trova a metà di Via della Caffarella.
Misura 8,16m X 8,57m.
Al suo interno vi sono nicchie per più persone che accoglievano sarcofaghi.

L'edificio veniva anche chiamato Tempio del Dio Redicolo per la sua forma e per l'ubicazione ricordata in questa zona.
Il Dio era il dio del Ritorno (da redeo, verbo latino che significa "tornare"), il protettore di coloro (i rediculi) che tornavano a Roma dopo essere stati a lungo lontani.
Sempre per rimanere nelle leggende del luogo, si racconta che il dio apparve ad Annibale spaventandolo, mentre questi si recava con il suo esercito a Roma, dopo la vittoria a Canne: fu così che Annibale tornò indietro!

Il sepolcro si è conservato in buono stato perché ha ospitato per secoli al suo interno un fienile: nei pressi si trovano i resti di un casale che inglobava un mulino e una torre difensiva medievale.
Orario:  sabato,domenica e festivi      10.00/16.00
              chiuso GENNAIO, LUGLIO e AGOSTO 

(...un po' troppo restrittivo l'orario di visita: capisco che a gennaio il maltempo possa creare dei disagi per chi raggiunge questo sito, ma non giustifico la chiusura durante due mesi estivi che potrebbero rappresentare un buon momento per la visita durante il periodo di vacanze...abbiamo letto la delusione sui volti di due turisti americani che come noi hanno trovato il cancello chiuso!)
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chiesa di S.Urbano/Tempio di Cerere e Faustina
L'altro monumento eretto da Erode Attico in onore della moglie è il Tempio di Cerere e Faustina, che si trova oggi nel parco di una villa privata chiusa al pubblico (vicino al Ninfeo di Egeria e al Bosco sacro).

Tempio di Cerere e Faustina nascosto nella proprietà privata
E' un tempio prostilo posto su un podio con scala a sette gradini (oggi interrata), che doveva contenere la statua di Annia Regilla oltre a quelle della dea e dell'imperatrice divinizzata, moglie di Antonino Pio.
Un'area porticata è oggi scomparsa.

timpano della facciata della chiesa
L'edificio è stato costruito in laterizio ed è decorato dai marmi pentelici (provenienti dalle cave di marmo che Erode Attico possedeva in Grecia) delle quattro colonne e della trabeazione della facciata.

colonne e trabeazione della facciata
Internamente la volta è a cassettoni: lo stucco centrale ottagonale rappresenta l'Apoteosi di Annia Regilla.
Lungo le pareti vi è una fascia a riquadri scanditi da lesene in laterizio con capitelli corinzi in peperino e al di sopra di questa un fregio con armi..
Vi sono anche rappresentazioni pittoriche del XIV secolo.

foto dell'interno presa dal pannello esplicativo del Parco
Il Tempio di Cerere e Faustina infatti nel IX secolo venne trasformato in un oratorio cristiano, e vi si istallarono i monaci basiliani.
Il luogo di culto cristiano venne dedicato a S.Urbano, martirizzato sotto Marco Aurelio nel 160 (lo stesso anno in cui morì Annia Regilla), ed ora la chiesa viene chiamata S.Urbano alla Caffarella.

Scendendo 23 ripidi gradini s'accede alla cripta dove vi sono degli affreschi, tra i quali una Madonna con Bambino e Santi.

ingresso alla chiesa









Nel 1634 la chiesa venne restaurata dai Barberini che erano venuti in possesso dei terreni in cui la chiesa si trova.
Il portico antistante l'edificio fu tamponato con murature in laterizio, e fu costruito un campanile a vela.






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Ma che fine ha fatto la villa di Erode Attico?
Non restano che alcuni piccoli ruderi e frammenti sparsi alla base e sulla collinetta verso via dell'Amone.

Il Triopio con i suoi edifici fu inglobato nel IV secolo nel complesso della villa di Massenzio.

Alla fine dell'epoca imperiale la valle verserà in uno stato di abbandono.
Sono i Conti Tuscolani i proprietari in epoca feudale, che militarizzano fortificando la zona, per controllarne i transiti verso i loro possedimenti del Tuscolo.

Torre Valca
Una di queste torri è la Torre Valca, costruita in blocchetti di tufo, di peperino e di marmo nel XII secolo.
Era dotata per la difesa di antemurale e di ponte levatoio che si collegava al primo piano.
Vicino alla torre si attraversava il fiume Almone su un piccolo ponte di legno.

Torre Valca
La Valle della Caffarella è sempre stata caratterizzata dalla presenza di acqua (il fiume Almone e le sorgenti), e sia per l'agricoltura, sia per le attività artigianali, vennero costruite strutture per lo sfruttamento dell'energia motrice dell'acqua: mulini per la macinazione del grano (mole) e impianti per la lavorazione e il lavaggio dei panni di lana, le cosiddette valche, termine longobardo ("walkan") che significa "rotolare".
La Torre Valca, come dice il nome, ebbe successivamente anche questo utilizzo.

Colombario Costantiniano
A mulino venne invece adattato il cosiddetto Colombario Costantiniano.
Il sepolcro a tempietto venne costruito nel II secolo d.C.
Due colonne (non più in loco), precedevano l'entrata.
Era su due piani: il primo adibito a sepoltura, il secondo ai riti funebri.
Fu costruito in mattoni rossi e gialli per creare motivi decorativi.

Colombario Costantiniano

Ancora non ho detto perché la valle viene chiamata "della Caffarella" ...
...prende il nome dalla famiglia Caffarelli che nel 1529 iniziò a riunire gli appezzamenti di questa valle in un'unica tenuta.

Casale della Vaccareccia
Il Casale della Vaccareccia era il centro di questa tenuta.
Fu costruito nel XVI secolo inglobando una torre del XIII secolo di blocchetti di tufo e scaglie di marmo.
Il porticato del casale ha colonne di granito con capitelli corinzi di marmo.
Il piano nobile del casale si trovava al primo piano.

Casale della Vaccareccia
Casale della Vaccareccia
Successivamente la valle divenne una proprietà dei principi Pallavicini e nel XIX passò ai Torlonia.

Casale della Vaccareccia
Oggi, anche se sembra esserci un'azienda agricola, è in uno stato di abbandono (ponteggi abbandonati, tetto sprofondato...), nonostante sia recintata con bandoni che illustrano i progetti di restauro incominciati nell'ottobre 2012 e che dovevano terminare nel 2013.

Nel parco si trovano due cisterne: una vicina al casale della Vaccareccia, l'altra tra il Bosco sacro e la chiesa di S.Urbano.

Cisterna imperiale/Fienile Torlonia
La prima cisterna di epoca imperiale, nota anche come fienile dei Torlonia, di forma rettangolare (37m X 12m), è in parte crollata nella notte del 13 gennaio 2011.

cisterna romana
La seconda cisterna invece, su due livelli, con volta del primo piano inferiore a doppio spiovente, risale ai primi anni dell'impero.
Originariamente era interrata e serviva come serbatoio di acqua piovana.
 
cisterna romana
interno della cisterna romana

CONCLUSIONI
Nonostante le polemiche sullo stato indecente di sporcizia ovunque, la mancanza di segnaletica, la vegetazione che copre parzialmente o quasi del tutto i monumenti, l'impossibilità di visitarli e l'abbandono rispetto a quando abbiamo visitato il sito alcuni anni fa, il parco è frequentato dai romani che fanno jogging, passeggiate (e a volte corse) in bicicletta, o che portano a scorrazzare i propri cani.









L'amarezza è grande al pensiero che senza una cura più attenta il parco, che nonostante tutto cerca di offrire la sua naturale bellezza al visitatore, possa pian piano scomparire e i suoi monumenti crollare come la cisterna imperiale.